FESTIVAL DELLA FOTOGRAFIA ETICA

Festival della Fotografia Etica

Il Festival della Fotografia Etica nasce nel 2010 dal Gruppo Fotografico Progetto Immagine, associazione no-profit con sede a Lodi.

La fotografia è uno strumento vitale per accendere un faro sull’ingiustizia sociale nel mondo. Nella mostra è sottolineato il rapporto tra etica, comunicazione e fotografia attraverso un festival innovativo e diversificato.

Le mostre di fotoreporter internazionali pluripremiati, accompagnate da incontri tematici, letture portfolio, visite guidate, talk d’autore, presentazioni di libri, progetti educational per studenti e altro.

MAGNUS WENNMANN – IL LATO OSCURO DELLA FAST FASHION


Magnus Wennman ha iniziato la carriera di fotogiornalista a soli 17 anni al quotidiano DalaDemokraten. Da allora ha lavorato in oltre 80 paesi, raccontando con le sue immagini elezioni, guerre e crisi dei rifugiati in Africa, Medio Oriente ed Europa.

Oltre alla fotografia, si è dedicato anche al cinema: il suo cortometraggio Fatima’s Drawings, in cui una bambina rifugiata ripercorre la propria storia attraverso i disegni, ha vinto il premio Best Digital Storytelling al Visa d’Or di Perpignan nel 2016.

Le sue opere sono state esposte in 17 paesi, tra cui il Campidoglio di Washington e le Nazioni Unite. Nel 2018 ha realizzato per National Geographic un reportage sul sonno, con suo figlio Wile in copertina.

Nel 2023, insieme al giornalista Staffan Lindberg, ha ricevuto il Gran Premio Svedese per il Giornalismo e il Guldspaden per un’inchiesta sullo smaltimento dei vestiti usati della fast fashion nei Paesi poveri.

Mostra nel Palazzo della Provincia

Nel cuore di Lodi, all’interno del Festival della Fotografia Etica 2025. Magnus Wennman porta in scena una delle mostre più forti e necessarie dell’edizione: “Il lato oscuro della fast fashion” (The Dark Side of Fast Fashion).
La mostra ci invita a guardare dietro le quinte del sistema della moda veloce. Un universo fatto di colori e tendenze, ma anche di scarti e disillusione.

Wennman racconta il viaggio dei nostri vestiti usati. Capi che pensiamo di “donare” per un nuovo inizio, ma che spesso finiscono in discariche a cielo aperto.

Le sue fotografie mostrano spiagge trasformate in tappeti di tessuti, mercati soffocati da montagne di abiti invenduti. Comunità costrette a convivere con un inquinamento che non hanno mai scelto.

Ogni scatto di Wennman colpisce per il suo equilibrio tra bellezza e dolore: c’è la luce accesa del cielo su un mare di stracci, ma anche la consapevolezza che dietro quella luce si nasconde il peso dei nostri consumi.


Il fotografo svedese non punta il dito contro una singola azienda: la sua denuncia è più ampia e riguarda tutti noi, il nostro modo di acquistare, usare e dimenticare.

JUGOSLAVIA: ATTO FINALE

A TRENT’ANNI DAL GENOCIDIO DI SBRENICA

Curata in collaborazione con la Fondazione VII, questa mostra commemora il trentesimo anniversario del genocidio di Srebrenica e la fine della guerra in Bosnia-Erzegovina. Onora la memoria dei terribili crimini perpetrati nel cuore dell’Europa.

Attraverso le immagini dei più autorevoli fotogiornalisti di VII, l’esposizione inserisce la vicenda bosniaca nel più ampio contesto dei conflitti che hanno devastato l’ex Jugoslavia. Racconta lo smembramento di una nazione e la risposta della comunità internazionale che ne è seguita.

Inoltre, mette in evidenza il ruolo fondamentale del fotogiornalismo nel preservare la memoria, perseguire la giustizia e garantire che queste vicende non vengano cancellate dalla storia.

Nell’ex Cavallerizza di Lodi

Le pareti raccontano una ferita che l’Europa non può dimenticare. A trent’anni dal genocidio di Srebrenica, la mostra “30 Years Since the Genocide in Srebrenica” ripercorre, attraverso immagini intense e silenziose, uno dei capitoli più oscuri della storia recente: la guerra nella ex-Jugoslavia.

Curata dalla VII Foundation, le loro fotografie non mostrano solo le battaglie o la distruzione, ma soprattutto le persone: madri che cercano i figli, bambini che crescono tra le macerie, uomini e donne che portano negli occhi il peso dell’ingiustizia.

Ogni immagine è una memoria viva — un invito a non distogliere lo sguardo.
Le fotografie ci ricordano che la guerra non è lontana nel tempo né nello spazio: è accaduta qui, nel cuore dell’Europa, e continua a parlarci oggi, in un momento in cui nuovi conflitti scuotono il mondo.

Visitare questa mostra significa attraversare la Storia, ma anche il dolore e la resilienza umana. È un percorso che scuote, ma necessario: perché solo guardando e comprendendo possiamo davvero promettere di non ripetere.

MOIRA RICCI

Fotografa e artista visiva italiana contemporanea. Nota per il suo lavoro esploratore di temi di memoria personale, identità e relazioni familiari. Spesso attraverso l’uso di autoritratti e manipolazioni digitali.

LA SUA VITA IN TOSCANA

L’esperienza di vita di Moira Ricci in Maremma, la sua terra natale, è un elemento centrale e indissolubile della sua produzione artistica. Nata a Orbetello nel 1977, ha dedicato gran parte del suo lavoro a esplorare l’identità, la storia e le tradizioni del territorio maremmano, spesso attingendo alla propria storia familiare. Sebbene si divida tra Orbetello e Rimini, la sua base in Maremma rimane un punto fermo della sua ricerca. Cresciuta in una famiglia di contadini, Ricci riflette sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente agricolo. Molti dei suoi lavori sono legati alla sua memoria personale e al territorio in cui è cresciuta. ⬇

In alcune sue opere, Ricci ha coinvolto attivamente la comunità del posto. Il progetto Astrotrebbia, per esempio, è stato realizzato insieme a numerosi contadini della zona, unendo l’immaginario rurale con elementi di finzione e fantascienza. L’opera è diventata anche un punto di riferimento per il ristoro Casa Ricci gestito dal fratello e dalla cognata dell’artista.

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Un progetto in cui Moira si inserisce digitalmente nelle vecchie foto della sua defunta madre. Le date del titolo si riferiscono al periodo in vita della madre.

Idea: Per elaborare il lutto cerca di creare una connessione con lei, prendendo sue foto vecchie e con Photoshop si è inserita in esse.

Come: Moira ricreava lo scenario, il vestiario, la grana per ravvicinarsi ancora di più all’ambiente della foto. Successivamente si scattava delle foto ricreando anche delle posizioni apposite creando un dialogo visivo tra loro due.

Significato: E’ un progetto che esplora temi come la memoria, l’assenza, il desiderio ecc… Moira Ricci attraverso questo lavoro cerca di colmare il vuoto lasciato dalla madre creando un ” incontro impossibile”.

Punto di vista tecnico: Il processo tecnico non mira a ingannare lo spettatore, ma a riflettere sulla natura del documento fotografico e sulla memoria. Le fotografie originali, vere testimonianze del passato, vengono “inquinate” da un intervento che è sia un’intrusione tecnologica sia una ricostruzione affettiva.

VIVIAN MAIER

“Beh, suppongo che nulla sia destinato a durare per sempre. Dobbiamo fare spazio agli altri. È una ruota. Sali, devi arrivare fino in fondo. E poi qualcun altro ha la stessa opportunità di arrivare fino in fondo e così via.” – Vivian Maier

Chi era?

Vivian Maiers ha vissuto una vita intera dietro l’obbiettivo, ma davanti a esso non c’era nessuno.

Era una tata americana (nata nel 1926 e morta nel 2009) che, nel tempo libero scattava migliaia fotografie. Non mostrò mai le sue foto a nessuno.

Dopo la sua morte le sue pellicole furono scoperte per caso da John Maloof, in un asta, che capì subito il loro valore.

Ad oggi è considerata una delle più grandi fotografe di street photography del ‘900.

Cosa fotografava?

  • Scene di strada– gente comune, bambini, riflessi nelle vetrine, momenti spontanei

Era bravissima nel cogliere l’attimo, la poesia del quotidiano. Usava spesso l’autoritratto nei riflessi, ma sempre in modo discreto, come se volesse esserci ma non esserci.

Era unica, fotografava per se stessa e non per la fama. Aveva uno sguardo curioso e sincero sul mondo. Con le sue foto rappresentava la vita vera dell’ America degli anni ’50-’70.

Era una donna invisibile ma geniale: viveva una vita semplice producendo arte straordinaria.

Cristina Nuñez

Nuñez: «L’autoritratto? Un’autoterapia. Così trasformo il dolore in arte»

Biografia:  è un’artista spagnola che ha rivoluzionato l’uso dell’autoritratto. Lo ha trasformato in uno strumento di autoesplorazione e terapia. Dopo un passato difficile, segnato dalla dipendenza e da profonde crisi personali, ha iniziato a fotografarsi per affrontare le sue emozioni e riconquistare l’autostima.

Da questa esperienza nasce il suo metodo, The Self-Portrait Experience, oggi utilizzato in carceri, scuole, centri di salute mentale e aziende in tutto il mondo. Le sue opere – intense, intime, autentiche – mostrano che anche il dolore può generare bellezza e consapevolezza.

Cristina ci insegna che guardarsi davvero è il primo passo per trasformarsi.

Someone To Love:  è un video molto intenso e personale realizzato dall’artista spagnola Cristina Núñez. Cristina con l’aiuto dei suoi autoritratti, racconta la propria storia di vita e la ricerca di sé stessa attraverso la fotografia.

Il video non è solo una sequenza di immagini. E’ un vero e proprio percorso emotivo e visivo che ci invita a entrare nella sua esperienza interiore. Attraverso il racconto e le fotografie, Cristina mostra come l’autoritratto sia diventato per lei uno strumento di guarigione e di scoperta personale.

“Someone to Love” ci ricorda che l’arte può essere molto più di un semplice atto estetico. Può essere un mezzo potente per affrontare il dolore, trovare la propria voce e connettersi con gli altri. Questo video è anche un invito a guardarsi dentro con coraggio e compassione, e riconoscere che l’amore più importante è quello verso se stessi.

The Self-Portrait Experience (SPEX): SPEX è un dispositivo artistico creato da Cristina Nuñez nel 2004, che combina arte autobiografica, fotografia e video per favorire la trasformazione personale e sociale.   

La pratica di Nuñez con l’autoritratto, iniziata nel 1988, aiuta a superare lo stigma legato alla sua dipendenza da eroina nella giovinezza.  SPEX è organizzato in tre parti: “Io”, che esplora emozioni e identità; “Io e l’Altro”, che riguarda le relazioni; e “Io e il Mondo”, che tratta i gruppi.

 I partecipanti lavorano su diversi aspetti delle loro opere, costruendo sequenze per il loro progetto d’autoritratto.  

Gli obiettivi di SPEX includono stimolare la creatività, migliorare l’immagine di sé e promuovere l’espressione emotiva attraverso l’arte. Per approfondire, si consiglia di guardare i video “Someone to Love” e “Higher Self”.